“L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine nello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri. L’autismo, pertanto, si configura come una disabilità “permanente” che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo”
Questa è la definizione data dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e della Adolescenza) all’interno delle linee guida per l’autismo.
Dal punto di vista epidemiologico non vi è una prevalenza geografica o etnica, mentre vi è una prevalenza di sesso (maschi 4 volte superiore rispetto alle femmine). Gli ultimi dati registrano una prevalenza di 1 su 59 (Centers for Disease Control and Prevention, 2018).
Come mai la frequenza è aumentata rispetto ad anni fa? I motivi sono diversi, in particolare secondo le linee guida SINPIA l’aumento dei casi è legato a:
– Maggiore definizione dei criteri diagnostici, con inclusione delle forme più lievi;
– Diffusione di procedure diagnostiche standardizzate;
– Maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione;
– Aumento dei servizi.
Quindi la registrazione di un aumento di casi NON risulta legato a un reale incremento degli stessi, ma alla standardizzazione della procedura diagnostica.
Negli anni sono cambiati i criteri diagnostici. Il termine Autismo fu introdotto da Bleuler nel 1911 per descrivere una modalità comportamentale caratteristica della schizofrenia e successivamente fu recuperato da Kanner nel 1943 con l’accezione che ha tutt’oggi. Fino a qualche anno fa la diagnosi di Autismo veniva formulata facendo riferimento ai criteri del DSM-IV-TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) permettendo una diagnosi differenziale con altri disturbi pervasivi dello sviluppo tra cui il disturbo di Asperger. Attualmente invece la diagnosi viene formulata facendo riferimento al DSM-V inglobando tutto nel Disturbo dello Spettro Autistico. Per questo motivo più che di Autismo oggi si parla di Spettro Autistico.
Quali sono le cause? Ad oggi sono ancora sconosciute. Negli anni si sono susseguite una serie di ipotesi a partire da quella delle ”madri frigorifero”. Vari studi riconoscono un’importante predisposizione genetica, al contrario NON ci sono studi che dimostrano come meccanismi immunologici (come i vaccini) possano esserne la causa. (“Vaccines are not associate with autism: an evidence-Basel meta-analysis of case-control and cohort stdies, 2014” “Vaccination ad a cause of autism- myths and controvesies, 2017” “Measles, Mumps, Rubella Vaccination and Autism: a nationwide cohort studi, 2019”).
Si può “curare”? Le linee guida per il trattamento (SINPIA) individuano come finalità terapeutiche il favorire l’adattamento del soggetto al suo ambiente con interventi finalizzati a:
– Correggere comportamenti disadattivi;
– Pilotare la spinta maturativa per facilitare l’emergenza di competenze sociali, comunicative, cognitive;
– Favorire lo sviluppo di un soddisfacente adattamento emozionale.
L’autismo è un disordine dello sviluppo biologicamente determinato che si traduce in un funzionamento mentale atipico che accompagna il soggetto per tutto il suo ciclo vitale. Quindi non esiste un intervento che va bene per tutti ma è necessario strutturare un intervento specifico per ogni individuo sempre coinvolgendo i familiari e i contesti sociali in cui egli è inserito (Scuola, centri sportivi….). Le strategie di intervento sono molte anche se le più suggerite appartengono a due categorie cioè approcci comportamentali (ABA= Analisi del Comportamento Applicata) ed approcci evolutivi.
Un recente paradigma in opposizione al modello medico, la Neurodiversità, sostiene che la condizione autistica è una specificità umana in quanto lo sviluppo neurologico atipico viene visto come una variazione naturale del cervello, una forma alternativa della biologia umana. Quindi la condizione autistica non è una condizione da curare ma una differenza non necessariamente svantaggiosa. Il termine neurodiversità è stato coniato nel 1998 da Judy Singer, un scienziata sociale con tratti autistici. (Stateofmind, 2018).
Questo non significa che l’autismo non crei difficoltà a chi ci convive. Infatti adottare il concetto di neurodiversità può aiutare a comprendere e riconoscere i punti di forza di ogni persona, però è importante mantenere le cure nel rispetto delle difficoltà incontrate dalle persone autistiche come suggerito da John Elder Robinson.
Quando un bambino viene diagnosticato all’interno dello Spettro, le famiglie vivono una situazione spesso difficile da accettare, forte è il vissuto di non saper cosa fare. È fondamentale il sostegno e la collaborazione con le famiglie e che i vari professionisti aiutino a trovare il percorso più adatto.
Dott.ssa Chiara Cruschelli